La porta si apre. Dentro c’è quella luce che ti fa già immaginare la domenica mattina, il caffè sul tavolo e i quadri appesi dove hai sempre voluto. Il proprietario dice “è tutto a posto” e magari lo pensa davvero.
Io, per mestiere, tiro fuori il block notes: non per smontare il sogno, ma per proteggerlo. Fare due diligence è questo: guardare la casa come un tecnico, raccontarla come un reporter e trasformare i fatti in decisioni chiare.
Niente fumo, niente scappatoie. Solo verità utile.
La due diligence, al netto dell’inglese, è semplice: verificare se la casa si può usare oggi, trasformare domani e rivendere senza sabbie mobili. Si fa leggendo titoli edilizi e agibilità, controllando catasto e impianti, scavando in vincoli, ipoteche, servitù e storie condominiali. Sembra lungo, in realtà accorcia la strada: evita i vicoli ciechi, mette numeri dove gli altri mettono promesse, ti dà leva quando serve negoziare.
Ti porto tre scene viste davvero, con i nomi cambiati ma i fatti intatti.
Nella prima, Marco trova il trilocale dei desideri. “C’è solo una piccola veranda da sistemare dopo”, gli dicono. Quella parola, “dopo”, è una sirena d’allarme. Il rilievo e i titoli raccontano che lì la chiusura non è ammessa. Non è cattiveria della burocrazia: è una norma. Risultato? Mutuo che traballa, lavori che non partono, trattativa che si pietrifica. Senza due diligence, stava comprando una speranza; con due diligence, ha comprato tempo e si è risparmiato un tiro alla fune infinito.
Seconda scena. Sara è innamorata della “casa definitiva”. Tutto profuma di nuovo, ma nessuno trova la SCIA di agibilità. “Tranquilla, sarà in Comune.” Non basta. Incrociando pratiche e requisiti, emerge che l’agibilità è ottenibile con due interventi minimi e un passaggio formale. Qui la differenza la fa il modo in cui scrivi la proposta: condizione sospensiva per l’agibilità entro una data, sconto pari ai costi certificati. Nessun teatrino. Appena l’agibilità entra in cartella, la banca si scioglie, il notaio sorride e la casa diventa davvero sua.
Terza scena: Luca e Giulia, ipoteca residua in Conservatoria. Panico? No. Le case hanno memoria, le ipoteche si cancellano. La domanda giusta non è “c’è un’ipoteca?”, ma “come e quando la cancelliamo?”. Piano d’estinzione al rogito, quietanza bancaria già concordata, clausola sospensiva nel preliminare. Tutti sereni. Quando sostituisci le frasi rassicuranti con procedure precise, la pratica cammina da sola.
Dove si rompono, più spesso, i sogni? Su quattro nodi: stato legittimo, agibilità, gravami, vincoli. Il catasto e gli impianti fanno da controcanto; il condominio, spesso, è l’epilogo che nessuno legge e che invece decide il tono dei prossimi anni.